Gli anni giovanili di Luigi Nono


'Variazioni canoniche': prime definizioni di una poetica


Livio Aragona


Opera prima, ultime opere


Variazioni canoniche sulla serie dell'op. 41 di Schönberg si affermò alla sua prima esecuzione a Darmstadt1 come una singolarità degna di grande attenzione, per la perentorietà e la compiutezza con le quali quell'opera prima indicava una prospettiva individuale ad un orizzonte di questioni su cui un'intera generazione di compositori si accingeva a costituire una nuova musica e una nuova estetica. Quella partitura rese subito palesi alcune delle componenti più resistenti della poetica di Nono: le sue brucianti urgenze passionali, una accesa vocazione lirica e un intenso rapporto di tensione di suono e silenzio, rapporto, quest'ultimo, poi intensivamente tematizzato nelle ultime opere, e tale che parve, a quanti ascoltarono Variazioni canoniche in quel lontano giorno d'estate del '50, che Scherchen estraesse quelle sonorità smunte e bituminose, con le quali la composizione si avvia, da un vuoto acustico nel quale rapidamente venivano riassorbite.2


Variazioni canoniche mostrava oltretutto una adesione al ceppo della Scuola di Vienna abbracciata nella sua totalità, come musica che conteneva in sé il codice genetico di ogni possibile sviluppo della civiltà musicale europea, e che appariva, per giunta, intrinsecamente legata ad un'opposizione ai regimi totalitari che le vicende storiche della prima metà del Novecento le avevano conferito. L'esplicito riferimento a Schoenberg e ad un'opera particolarmente esposta all'attribuzione di connotazioni politico-libertarie, l'Ode to Napoleon Buonaparte op. 41, metteva in luce un aspetto che appariva, soprattutto in quegli anni, una prerogativa peculiare del Nono artista e uomo di cultura, e che implicava una funzione attiva, un'aspirazione di produttiva incidenza nel mondo nel quale una musica si trovi a risuonare, e la convinzione - derivata in parte anche da un'adesione ad un'estetica di ispirazione neomarxista - che in opere artisticamente riuscite l'avanzamento della tecnica musicale doveva riflettere necessariamente lo stadio più avanzato dei conflitti storici.3 «Sempre la genesi di un mio lavoro è da ricercare in una 'provocazione' umana: un avvenimento un'esperienza un testo della nostra vita provoca il mio istinto e la mia coscienza a dare testimonianza come musicista-uomo»: questa appassionata formulazione delle motivazioni del proprio lavoro apparve su «La Rassegna Musicale» nel 1962,4 in occasione di un intervento sulla sua prima opera per il teatro, Intolleranza 1960, che era anche opera di sintesi di tutto quanto Nono aveva impiegato ed elaborato nella prima fase della sua attività di compositore; opera, oltretutto, accomunata anch'essa alla figura di Schoenberg, poiché a Schoenberg è dedicata, e sulla quale si concentrarono alcuni dei primi interventi critici italiani. Su Inolleranza infatti prese corpo la discussione sull'engagément come prerogativa del Nono compositore. Molto è stato scritto sull'impegno politico e civile di Luigi Nono e sul presunto abbandono di tale impegno dopo la cosiddetta 'svolta' segnata dal quartetto per archi Fragmente-Stille, An Diotima; oggi, superati gli aspetti più superficiali della discussione, risulta chiaro che ogni discorso sull'impegno di Nono «come musicista-uomo» debba essere ricercato necessariamente nelle strutture immanenti della musica,5 e prima ancora che nelle sue modalità comunicative, nella scelta di campo che la stessa poetica del compositore implica. Da questa prospettiva, Variazioni canoniche offre elementi già pienamente compiuti.


Partendo da queste sparse rilevazioni preliminari cercherò di delineare in ciò che segue le correlazioni di un certo numero di tratti di ordine insieme storico, estetico e analitico, orientate appunto ad una prima definizione globale della poetica di Nono.


Primo: gli elementi che è possibile isolare in Variazioni canoniche si riferiscono a quel primo decennio di attività - circoscritto da specifiche tecniche e azioni compositive che attraversano le opere strumentali più decisamente seriali, Canti per 13, Incontri e Varianti, per approdare poi al Canto sospeso e Intolleranza 1960 -, e alla poetica di Nono nel suo insieme, della quale l'opera prima irradia un'azione i cui sviluppi verranno gradualmente elaborati, giungendo a compimento nelle ultime opere. Questa ultima considerazione può valersi anche di un dato storico-biografico. Per una singolare circostanza, partitura e parti delle Variazioni canoniche andarono smarrite dopo la prima esecuzione, e Nono ricostruì la partitura, grazie al ritrovamento delle parti orchestrali, solo trentacinque anni più tardi, appena a ridosso del Prometeo.6 La decisione di ritrascrivere Variazioni canoniche dopo l'opera che più di tutte pareva aver definito gli ambiti della sua ultima fase creativa, sembra caricarla del carisma di opera che racchiude il senso di un'intera esperienza. D'altra parte, per un compositore sempre proiettato su progetti futuri, appare difficile pensare a questa riscrittura come ad un'operazione di puro ripristino; in altri termini, Nono non si sarebbe prestato a compiere questo lavoro di ricostruzione se non avesse percepito in Variazioni canoniche un significato e una portata ancora attuali. A sostegno di questa congettura può forse tornare un altro elemento: pur avendo manifestato a Scherchen il proprio disaccordo sul pesante taglio che il direttore operò in Polifonica-monodia-ritmica prima di presentarla ancora a Darmstadt nel 1951, Nono in quel caso non è tornato a ripristinare la versione originale della composizione, malgrado l'operazione apparisse assai più agevole.7


Secondo: l'impegno ad un approfondimento dei problemi tecnici posti da Schoenberg e Webern fu in Nono assai precoce, e si sviluppò in modo parallelo e indipendente dall'azione degli altri protagonisti dell'avanguardia musicale, ma sulla scia della forte suggestione esercitata dalla musica di Dallapiccola, e in particolare dai Sex Carmina Alcaei.8 Nono ha lasciato più d'una testimonianza di quanto vedesse nelle Liriche greche in generale, e nei Carmina Alcaei in particolare, una tappa decisiva degli sviluppi scaturiti dall'esperienza viennese.9 Un primo esito furono le due liriche - La stella mattutina su testo di Jone di Ceo e Ai dioscuri di Alceo - estratte dalla stessa raccolta utilizzata da Dallapiccola e musicate per cori e strumenti, dove già si annuncia un transito dall'orizzonte dodecafonico a quello seriale.10 In Variazioni canoniche quel passaggio si consolida e si approfondisce, e tuttavia appare pur sempre intermittente, poiché la serie schoenberghiana vi trova ancora sviluppi lineari accanto ad ampie parti in cui il suo 'profilo tematico' è dissolto nell'uso delle sue singole componenti. L'uso del ritmo e delle durate anticipa più decisamente procedimenti che verranno adottati nelle opere più pienamente seriali, ma già in Variazioni canoniche si manifestano quei tratti che avrebbero marcato una sostanziale distanza di Nono dalle concezioni oggettivistiche dello strutturalismo post-weberniano.11


Terzo: questa diversità di Nono fu recepita dalla migliore critica italiana malgrado la distanza che, almeno per una parte consistente dei suoi esponenti, si apriva tra la loro formazione idealista e le premesse teoriche della Neue Musik. La prima voce fu quella di Massimo Mila, nel 1960, con il famoso saggio La linea Nono.12 Due anni più tardi, un confronto a più voci si accese su Intolleranza 1960: oltre al già citato saggio di Nono si susseguirono tre articoli, di Bortolotto, Pestalozza e d'Amico.13 Al di là delle considerazioni sull'opera specifica, e sulla sua natura drammatica, la discussione si concentrò sul senso dell'intera esperienza compositiva di Nono, lungo la direzione già segnata dal saggio di Mila. Nell'insieme si trattò di interventi basati su alcune collettive scoperte di opere determinanti,14 e di aperture critiche svolte su esperienze d'ascolto al buio, nella sostanziale e forzata ignoranza dei processi di ideazione, di sviluppo dei materiali e delle procedure, e che tendevano, a causa delle stesse condizioni in cui si svolgevano, a cogliere con categorie euristiche e sintetiche quelle impressioni sensoriali di immaginazione sonora. Se è vero che il rapporto di Nono con la critica musicale italiana fu difficile e talvolta anche apertamente conflittuale,15 fu tuttavia in alcune espressioni dei suoi esponenti più avveduti che si avviò un proficuo confronto intrattenuto da posizioni diverse. Certo, fu una critica che ebbe il coraggio anche civile di porre le questioni relative alla 'nuova musica' nei termini di una sua effettiva problematicità. Ma proprio quella condizione di osservatori esterni, non organici al sistema di pensiero dell'avanguardia, poté favorire la puntualizzazione della posizione 'irregolare' di Nono. E se fu Mila a seguirne con più costanza l'intero percorso artistico,16 è curioso il fatto che proprio uno dei critici provvisti della più tenace diffidenza nei confronti della musica dodecafonica e seriale, Fedele d'Amico, abbia sviluppato, in uno specifico momento e cioè proprio con il saggio su Intolleranza 1960, intuizioni suscettibili ancora di una produttiva discussione sulla poetica del compositore.


Quelle prime formulazioni incrociavano, inoltre, un saggio di Nicholas Ruwet sulle 'contraddizioni del pensiero seriale' che ad un livello di maggior astrazione teorica e da una prospettiva linguistica, segnalava il rischio di una ricaduta della musica determinata da una rigorosa adesione ai principi teorici della serialità, «nello stadio indifferenziato della pura natura» e nella rinuncia «a creare un linguaggio, una storia».17 Alla base di quella critica stava l'idea che le deficienze del linguaggio seriale dipendessero in larga misura dal disconoscimento delle funzioni di ripetizione.18 La considerazione di queste funzioni all'interno di una tecnica e di una teoria che hanno insistito soprattutto sui principi di variazione e di differenziazione, può far emergere aspetti rimasti in ombra nel funzionamento di opere seriali e 'post-seriali', e della poetica di Nono in particolare.


La 'Linea Nono' e l'individuazione critica di d'Amico


La linea Nono di Mila fu un'accorata difesa della musica del compositore veneziano contro l'attacco sferrato in particolare da Hans-Klaus Metzger, che imputava a Nono di aver aderito, dopo le prime composizioni che lo avevano imposto all'attenzione, e cioè Variazioni canoniche e Polifonica-monodia-ritmica, al programma del Manifesto di Praga. Dal che ne era conseguita, secondo Metzger, una involuzione della tecnica compositiva, segnatamente nell'Epitaffio di Garcia Lorca.19 La difesa di Mila è condotta, in un certo senso, nel campo del nemico. Mila assume che la musica di Nono si svolge dentro quel quadro di rapporti che l'attuale apertura storica richiede, e che dunque debba necessariamente passare per «l'esperienza della total determinierte Musik», e cioè «riconoscere ed attuare le leggi intrinseche che governano la struttura della materia sonora»;20 ma rifiuta l'idea che il compositore possa perdere il controllo sulle conseguenze di quel processo; prosegue infatti: «purché, appunto, al travaglio di questo volontario assoggettamento al determinismo della materia si riconosca una funzione: di lì oggi si deve passare perché la musica continui a vivere quale è sempre stata, come una manifestazione dell'uomo, e naturalmente dell'uomo di oggi, manifestazione dotata di autenticità specifica e di originalità, non tale che si limiti a ripetere le esperienze precedenti ormai cristallizate in formule convenzionali».21 Nella «linea Nono» Mila leggeva insomma, proprio mentre si affermava il rovesciamento dell'iperdeterminazione nell'alea - il saggio di Boulez era da poco comparso su «Incontri musicali»22 - una rivendicazione della musica come linguaggio, ed un linguaggio radicato nella propria storicità. Il problema centrale per Mila consisteva nel modo in cui, una volta saltati i tradizionali punti di riferimento formali ed espressivi, e apparendo irreversibile quella svolta, fosse possibile qualificare questa capacità comunicativa, per la quale il critico ricorre ad espressioni come «continuità di sensato melos polifonico», oppure «coerente continuità di discorso tra nota e nota»;23 vi si notano due aspetti: il riemergere di una concezione idealistica e crociana dell'universalità dell'arte e il ricorso ad una terminologia non completamente aderente all'oggetto analizzato, e dunque non più sufficiente a descriverlo; pure, dietro quelle definizioni traspare l'intuizione che la qualità individuale della musica di Nono, delle due Espressioni come di Incontri o del Canto sospeso, risieda nell'intenzione di mantenere sempre l'economia degli elementi compositivi entro una soglia controllabile. Questa visione la si coglie qui e là, in modo intermittente, ad esempio, nei passaggi relativi all'uso della Allintervallreihe che Nono utilizzò a partire da Incontri e anche nel Canto sospeso, la cui disposizione regolare degli intervalli - in due tronconi cromatici procedenti per moto contrario e mediante allargamento graduale dell'ampiezza intervallare tra ciascun suono e il suo corrispondente nel troncone parallelo - «permette di stabilire abbastanza agevoli punti di riferimento», e consente di individuare e quasi di «presentire» gli intervalli, «anche quando sono rimescolati nel gioco delle permutazioni»; sicché, anche nel caso in cui ci si imbatte in configurazioni non riferibili immediatamente all'ordine originario della serie, «questa ne contiene in sé le virtualità ed ha preparato l'orecchio ad accoglierle».24


Il saggio di Mila fondava le proprie argomentazioni partendo da due importanti interventi di Nono: Presenza storica nella musica d'oggi era stato ospitato pochi mesi prima sempre nella «Rassegna Musicale»; Testo, musica, canto25 riuniva i testi di due conferenze nelle quali la filiazione autodichiarata di Nono da Schoenberg investiva non solo la continuità tecnico-compositiva ma anche le potenzialità implicite nel rapporto della musica con il testo, preparando oltretutto la drammaturgia di Intolleranza 1960.26


Il rilievo dato a Schoenberg appariva singolare guardando Nono nel contesto degli sviluppi dell'avanguardia post-weberniana. Lo era molto meno se si considera l'ambiente italiano, dove Nono si era formato. Il suo interesse può esser fatto risalire al 1942-43,27 come frutto di conversazioni con Malipiero; si approfondì poi con la conoscenza di Dallapiccola e Togni, pionieri grazie ai quali un interesse per la musica dodecafonica stava faticosamente avanzando in Italia. Dallapiccola era andato accostandosi alla dodecafonia, malgrado la penuria delle informazioni, fin dalla metà degli anni Trenta. Camillo Togni aveva avviato un sistematico confronto con il metodo dodecafonico nel 1941, negli ultimi due movimenti della Suite per pianoforte op. 14a, Ciaccona e Valzer.28 Massimo Mila andava avvicinandosi alle possibili applicazioni della dodecafonia soprattutto osservando la musica e le scelte di Dallapiccola.29 E la musica di Dallapiccola costituì la sua chiave d'accesso alle pratiche dell'avanguardia soprattutto italiana, e in particolare alla musica di Nono. Ancora nella recensione alla prima milanese del '75 di Al gran sole carico d'amore, Mila riprendeva tematiche già svolte a proposito dell'Ulisse di Dallapiccola, richiamando anche qui la presenza di Schoenberg.30


Tuttavia la figura del compositore viennese rimaneva, in quegli anni di appropriazione, un oggetto ancora parzialmente misterioso, dai contorni poco definiti. Ancora nel 1944 non v'è traccia della Scuola di Vienna in Cent'anni di musica moderna.31 Lo stesso anno Mila tentava di avviare un progetto editoriale, proponendo a Dallapiccola di scrivere una monografia su Schoenberg, incarico che il compositore declinerà.32 E ancora nel 1947, recensendo un concerto circolato in molte città italiane33 nel quale vennero eseguiti Pierrot lunaire e l'Ode a Napoleone, Mila scriverà che della musica di Schoenberg si parlava ancora «senza conoscenza di testi, elemento non ultimo dell'analogia che è stata segnalata tra questa tendenza musicale ed altri fenomeni rilevanti della cultura contemporanea, come la psicanalisi e il marxismo».34 Anche per il giovane Nono furono questi i principali riferimenti. Fu Togni a suggerire le serie schoenberghiane tra le quali Nono scelse quella per Variazioni canoniche. Con Dallapiccola è fin troppo noto il rapporto di confronto, stima e reciproche sollecitazioni ad un approfondimento delle rispettive possibilità creative.35 Contava inoltre, per Nono, quella vocazione di Dallapiccola ad investire la musica e ogni esperienza creativa e artistica di una funzione etica. E a sua volta quella funzione etica trovava il suo centro nella figura di Schoenberg.36 In questo ambito rientrava la considerazione dell'Ode to Napoleon Buonaparte op. 41, che ritorna nel saggio sul Prigioniero di Mila come esempio di protest music. 37 Ed è in rapporto alla valutazione della posizione storica di Schoenberg che la «linea Nono» troverà una sua più precisa definizione.


Nel saggio su Intolleranza 1960 Fedele d'Amico spinge più oltre le premesse poste da Mila. Entrando nella discussione avviata da Bortolotto e proseguita da Pestalozza sulla efficacia e sulle implicazioni della drammaturgia 'impegnata' di Intolleranza 1960, d'Amico sposta l'attenzione sul senso complessivo dell'«alternativa Nono», rovesciando gli assunti che erano alla base delle riflessioni di Bortolotto, e che ricalcavano in buona parte le posizioni dominanti ai Ferienkurse di Darmstadt. Il saggio di Bortolotto puntava a sottolineare da una parte la dipendenza da Schoenberg e dall'altra una sensibile distanza - malgrado l'iniziale, apparente affinità - dal mondo di Webern, sia dalla sua trasparenza strutturale che dai suoi caratteri riflessivi:


[…] i suoi primi lavori strumentali, le Variazioni [canoniche] per orchestra su una serie di Schoenberg (1950), Polifonica-Monodia-Ritmica (1951), la prima Composizione per orchestra (1951), le Due espressioni (1953), poterono anche trarre in inganno occhi esperti, e permettere al celestiale Antoine Goléa la definizione di pur webernien. In realtà, Nono era in quegli anni assai attento ad assimilare alcuni principi costruttivi del maestro viennese; ma il gelido fuoco della sua scrittura strumentale, in cui parve incarnarsi una purezza incandescente, la violenza torrida di certe sue esplosioni percussive, il singolarissimo pullulare dei suoni isolati, ma tutt'altro che delibati singolarmente, e tutti assieme aspiranti a una soluzione aggressiva, a un burrascoso fluire, talvolta (come nell'episodio per archi della Composizione n. 1) a un fermentare e quasi un dibattersi tenace e furioso, erano tutti caratteri musicali assai alieni dall'introspezione, dall'intimità liederistica di Anton Webern.38


La dipendenza da Schoenberg fu rilevata da Bortolotto come un parziale carattere 'regressivo':


In ogni modo, fino ad Intolleranza compresa, il concetto di temporalità è quello della tradizione ottocentesca protrattasi in Schoenberg: il tempo viene cioè occupato dai fatti o eventi musicali che, partendo da certe premesse, si sottendono a certe conseguenze. E di Webern non viene proprio quell'arresto dello scorrere temporale nell'istante, che ne è la innovazione di più tremenda portata. Non si parla neppure della simultaneità di più decorsi temporali, di più 'misure di tempo'; e nessuna provocazione di spazialità si può mai verificare. Sembra insomma che, partito negli anni Cinquanta dalle premesse weberniane comuni a tutta la musica nuova, Nono ne ripercorra il cammino a ritroso: la 'mutazione', nel senso di Henri Pousseur, sarebbe semmai un Krebs: da Webern a Schoenberg.39


Bortolotto sosteneva in questo modo la distanza di Nono dalle traiettorie dell'avanguardia a causa di una sua rinuncia «al rigore linguistico», che dal punto di vista del critico doveva significare l'abbandono della musica «alla propria immanenza».40 Dunque, all'altezza cronologica di Intolleranza 1960, scartata l'adesione alle tematiche 'politiche', ritenuta una pretestuosa sovrastruttura, e liquidata la drammaturgia come priva d'azione e contrasto, per Bortolotto null'altro rimaneva dell'aspirazione di Nono a costituire una «alternativa alla neue Musik», se non la sua «estraneità alla speculazione contemporanea».41


La riflessione di d'Amico sulla musica di Nono riparte da qui. Che avanguardia debba significare «abbandono all'immanenza della musica in quanto tale - incalza d'Amico - della musica überhaupt lungo la china della sua storia spontanea, è un'idea da lasciare a chi crede, in arte, al determinismo evoluzionistico»:


a chi crede, insomma, che dato il Tristano l'unico esito possibile sia Schönberg, dato Schönberg Webern, dato Webern Stockhausen, dato Stockhausen Cage. E d'altronde, per chi la pensa così è chiaro che la questione di un'alternativa qualsiasi non si pone nemmeno. Ma in verità la 'nuova musica', come qualsiasi altra avanguardia artistica d'oggi, non è evento fatale ma scelta deliberata fra varie alternative possibili: e precisamente è scelta della protesta eversiva, manifestata nella progressiva liquidazione dei nessi linguistici, intesi come un sistema di omertà in una società corrotta. Il suo cammino perciò, da Schönberg in poi, è un cammino verso il rifiuto, la negatività, la non-arte, il non prodotto, la disintegrazione della musica a materiale indifferenziato e 'aperto'.42


Questa premessa di d'Amico implicava, come si vede, un ribaltamento del significato storico dell'esperienza di Schoenberg, riducendone la portata regressiva e ricollocandola all'origine di tutta la neue Musik, poiché è da Schoenberg che si sprigiona l'impulso espressionistico, quell'impulso che spinge verso la rottura dei nessi linguistici e il rifiuto di ogni «materia ricevuta»:43


Nono è certamente 'nuova musica': cioè una musica i cui elementi linguistici fondamentali sono rotti, polisensi, ambigui. Da parecchi anni ormai (e certo nel Canto sospeso, certo in Intolleranza) Nono è 'atonale' (termine improprio per dire che a ogni nota si può dare tonalmente più di una interpretazione) e ha cessato di qualificare il ritmo in modo univoco (dunque è ben oltre Schönberg, la cui ritmica è univoca fin troppo).44


Che la musica di Nono partecipasse in modo significativo al processo storico dell'avanguardia era non solo evidente, ma era dovuto proprio ad un «'rigore antilinguistico'», dove invece 'rigore linguistico' assume un senso rovesciato rispetto a quello attribuito da Bortolotto e da tutta l'«autoesegesi dell'avanguardia». Per d'Amico, 'rigore linguistico' starebbe difatti a significare la «testimonianza di un impegno dell'uomo a riconoscervi il patto che lo lega agli altri uomini».45 In Nono invece, gli «elementi linguistici fondamentali sono rotti, polisensi, ambigui».


Tuttavia, se questa musica costituisce effettivamente un'ipotesi alternativa, essa si fonda sugli «elementi di continuità che Nono mantiene nel suo non-discorso»,46 e nella «bruciante contraddizione fra urgenze passionali elementari e una loro grafia semantica che si va cancellando nell'atto stesso in cui tenta di disegnarsi».47 Emblematico di questo processo sarà il commiato di Ljubka, nel Canto sospeso, che è


melodia smarrita, una melodia di cui sono stati corrosi tutti i connotati. Ne sopravvive però il Vortrag, il modo di porgerla, certa sua temperie fisica; giacché quel che conta in questo pezzo è semplicemente un gioco di registri vocali, disincarnato nel pianissimo […] Se davvero avessimo davanti una melodia articolata sarebbe, che so io, l'inizio dei Sex Carmina Alcaei; ma senza la sua insistenza fonica come idée fixe avremmo il soprano del Marteau sans maître. Laddove il 'marteau' di Nono, per quanto di foggia paleolitica, non si direbbe 'sans maître'.48


E ancora:


Quello in cui Nono si distingue dai più radicali è la sua ripugnanza allo spirito del cosidetto puntilismo. È vero che anche in lui, sulla carta, c'è Klangfarbenmelodie quanta se ne voglia; ma in pratica i timbri dissociati tendono in lui a ricostituirsi in macchie omogenee. Lo stesso è da dire per il gioco dei valori dinamici: nonostante tutte le sue tavole di permutazione, un pezzo di Nono, o ciascuna delle sue principali sezioni, ha quasi sempre una gradazione di intensità fondamentale.49


La linea Nono consiste allora nell'azione di due spinte contrastanti: da una parte, la decostruzione che l'impulso espressionista opera sui nessi linguistici; «grafia semantica che si va cancellando nell'atto stesso in cui tenta di disegnarsi»: è probabile che in questa rappresentazione verbale di ciò che accade nella musica di Nono, d'Amico percepisse ciò che avviene fin dalle Variazioni canoniche, e cioè l'annullamento della percezione lineare della serie. «Grafia semantica» e «linguaggio» per d'Amico segnano evidentemente ancora l'esistenza di una dimensione orizzontale e una subordinata dimensione verticale, la musica come linguaggio, e linguaggio come continuità lineare. Dall'altra, una vis construens: d'Amico sembra puntare l'attenzione sull'individuazione e il progressivo consolidamento di costrutti che acquistano con la costante riproposizione, valore quasi semantico, e comunque carattere di precise figure sonore con caratteristiche costanti. Nella musica di Nono «sopravvive il Vortrag, il modo di porgerla, certa sua temperie fisica», giacché quel che conta è «l'insistenza fonica come idée fixe». Si potrebbe vedere quella «temperie fisica» nella composizione continua di blocchi sonori omogenei a crescita organica e modificazione graduale. È come se Nono immaginasse e portasse a compimento una certa configurazione sonora, spingendo poi al massimo le conseguenze della sua logica interna fino a saturarla e farla esplodere in qualcos'altro, in un altro stato del materiale. Questo processo assume spesso la forma di un graduale accrescimento di tensione, come un crescendo, - e dunque, il «Vortrag», il 'modo di porgere' che a d'Amico sembra ripristinare quella «grafia semantica» e quella articolazione fraseologica che il dissolvimento di chiari processi lineari sembra aver cancellato. L'impressione dominante è che l'ampiezza di ogni enunciazione, sia essa costituita di una singola linea o di un complesso sonoro, sia determinato da un arco dinamico che procede in crescendo fino a esplosioni in fff o affievolendosi fino ad assottigliarsi in quasi impercettibili pppp, e sempre dall'uno all'altro o viceversa. All'interno di ciascuno di questi archi poi, la gamma dinamica è quasi sempre omogenea. È questo forse l'elemento di maggior distanza dal puntillismo, un'attenzione a non spingere i processi di differenziazione su tutti i piani della struttura sonora.


Per quanto mutino i sistemi di controllo del materiale, per quanto si approfondisca la capacità di dominio delle situazioni che si vengono a creare dal gioco dei quadrati aritmetici e multiparametrici,50 questi aspetti rimangono delle costanti della poetica di Nono. «Insistenza fonica» implica, all'interno di processi altamente differenziati, forme di ripetizione che si producono già nella definizione del materiale, poi nelle unità sonore fondamentali, e infine nella determinazione della forma. Ciò che consente la riconoscibilità di una configurazione sonora, la stabilizzazione di caratteristiche riconoscibili è data da processi più o meno palesi di ripetizione, dove ripetizione può essere definita come il rapporto di identità o affinità riscontrabile tra elementi discreti e riconoscibili come unità, lungo uno spazio e un decorso temporale dati. Già in Dallapiccola si possono osservare forme multiple di ripetizione situate a differenti livelli di struttura, ed articolate secondo sofisticate tecniche di compensazione. Ripetizione di cellule motiviche, ripetizioni di costellazioni seriali di altezze o di ritmo, di complessi armonici e testurali ricorrenti, per mezzo dei quali la combinatorialità che l'organizzazione seriale promuove in modo intensivo viene ancorata in un sistema di interdipendenza funzionale dei parametri. Non espresso in forma teorica, questo aspetto ha però certamente a che fare in Dallapiccola con quell'attenzione all'«articolazione» e alla «polarità», concetti chiave di un suo noto saggio, Sulla strada della dodecafonia, steso proprio nel 1950 e apparso per la prima volta sulla rivista «Aut Aut» nel 1951.51 E mi sono convinto che quella famosa frase di Nono, a tributo della sua ammirazione per la musica di Dallapiccola come inventore di «una 'nuova retorica' del pensiero musicale» sostanziata in «rapporti, autonomamente articolati, tra altezze-durate-fonetica-dinamica, non meccanico sviluppo di formale linguistica dodecafonica»,52 sia collegato esattamente a questo ordine di problemi.


Naturalmente, nozione e funzione di elementi ripetuti mutano se se ne considera l'azione nella musica di Nono, o Dallapiccola, o Schoenberg, oppure se se ne tiene conto nella musica di Stravinskij o di Steve Reich, o, ancora, in una canzone popular. Non potendo sviluppare qui tassonomie e comparazioni, per il momento ci si dovrà accontentare di un dato di fatto elementare, e cioè che quella categoria acquista un proprio senso all'interno di ciascun determinato contesto compositivo; e, nel caso della musica nata dall'esperienza dodecafonica e seriale, ovvero di una musica ad elevato tasso di differenziazione, la soglia oltre la quale un rapporto di affinità viene percepito come ripetizione si abbassa sensibilmente. Si sarà cioè portati a cogliere come ripetizione un gesto sonoro - a prescindere della sostanza intervallare o ritmica entro il quale si configuri -, o anche solo la permanenza di un tratto, per un tempo sufficientemente lungo da creare il senso di una stabilizzazione del tessuto sonoro.


Variazioni di forme canoniche


Variazioni canoniche presenta un modello già compiuto di questi orientamenti compositivi. Dell'opera di Schoenberg evocata nel titolo non restano in realtà che la serie di altezze tra i materiali di partenza e l'inclusione del pianoforte nell'organico strumentale, ma da Schoenberg deriva l'idea di sviluppo organico della forma attraverso metamorfosi di strutture. Gianmario Borio ha notato come in quest'opera i principi della variazione e del canone si intreccino fino a superarsi a vicenda: il canone agisce come generatore di strutture, e la variazione viene ridefinita fino a diventare variazione strutturale.53 Partendo da questa condizione preliminare, se ne possono dedurre conseguenze in relazione alla particolare prospettiva che qui si intende approfondire, osservando che il concetto di variazione presuppone una componente di stabilità e un certo tasso di mutamento e che già in sé dunque essa implica processi di ripetizione, ovvero il ritorno ciclico di elementi discreti identificabili come il nucleo stabile di ciò che viene variato. Anche l'uso esteso di forme canoniche costituisce un aspetto fondamentale di questa strategia, poiché il canone può essere considerato come una tecnica fondata sulla ripetizione di elementi di analoga (quando non identica) sostanza musicale dislocati su differenti piani di scorrimento spazio-temporale, e dunque un mezzo particolarmente adatto a svolgere una funzione di bilanciamento tra integrazione e differenziazione54 ad alti livelli di complessità, mediante il dosaggio di una maggiore o minore evidenza dei rapporti imitativi.


In senso generale, l'intero decorso delle Variazioni canoniche offre un'ampia gamma delle configurazioni che è possibile generare per mezzo di questa azione variabile del principio canonico; ciò che il canone vi produce è un globale senso di interrelazione delle parti, tale che ogni enunciato appaia come sollecitazione, richiesta, chiamata rivolta verso altri enunciati, senza che ciò implichi necessariamente evidenti rapporti di identità; la sua azione può cioè oscillare a seconda dei casi dalla più o meno rigorosa imitazione delle parti fino alla cancellazione pressoché totale della figuratività motivico-tematica, mutandosi di fatto in principio generatore di linee irregolari, i cui profili sono talmente variabili da essere percepiti più come componenti di testure che non come unità motiviche generate da una medesima matrice.


Lo sviluppo dell'intera composizione può essere letta come decorso nel quale la serie schoenberghiana, dapprima smembrata in semplice materiale intervallare, dà luogo ad un progressivo chiarificarsi di gesti sonori in figure più articolate e riconoscibili, fino a pervenire ad una sua momentanea ricomposizione nella parte conclusiva. Il lavoro si articola in quattro episodi che si succedono senza soluzione di continuità. Nel primo episodio, (Largo vagamente), una complessa struttura canonica dà luogo ad un processo di trasformazione graduale che culmina nell'affioramento di una ben identificabile figura motivica. Nel secondo, (Allegro moderato), il dispiegarsi di una testura assai più labile fa spazio a rapide convergenze delle linee strumentali su signole classi d'altezza all'unissono o in raddoppio d'ottava. Nel terzo episodio (Allegro violento), il dispositivo canonico viene attuato coordinando distribuzioni in successione verticale delle serie d'altezza a sequenze continuamente permutate di valori di durata prefissati. Nel quarto (Lento), a partire da batt. 244, la serie dell'Ode a Napoleone viene enunciata dal sassofono soprano nella sua inversione trasposta alla seconda minore (esempio 1; la parte del sassofono è trascritta in suoni reali). Questa sorta di declamato strumentale appare come conseguenza di un processo di accumulo e sviluppo di decorsi canonici giocati su una cellula ritmo-melodica di sedicesimi e trentaduesimi che comincia lì dove ha inizio quest'ultimo episodio (batt. 217); a partire da quella cellula iniziale, elementi motivici molto brevi si distendono progressivamente in linee di maggior ampiezza fino ad allinearsi verticalmente in un lungo crescendo sul quale si staglia la linea enunciata dal sassofono. Qui la serie viene svolta prima nella sua forma originale e poi a ritroso, ma attraverso riprese interne, occupazione graduale dello spazio acustico, con mutazioni continue degli elementi ritmici fondamentali e con dettagliate e puntuali indicazioni dinamiche. Questa ricomposizione lineare, che pare configurare la serie originaria come la ricostituzione di un ordine infranto, richiama un'altra riflessione di Dallapiccola, e cioè l'idea che l'impossibilità di riferirsi a forme precostituite costringa alla individuazione dei principi di unità di un processo formale solo alla sua conclusione.55 In altri termini, è come se il rapporto tra tema e variazione ne risultasse rovesciato: le variazioni possono condurre al riconoscimento di un principio tematico piuttosto che svilupparsi da esso.


Il primo episodio (Lento vagamente) è basato su un doppio canone replicato tre volte, e dalle cui duplicazioni si genera una struttura simmetrica il cui fuoco è occupato da un ulteriore blocco, costruito con suoni sottratti alle disposizioni seriali delle altre sezioni.56 Vari elementi contribuiscono a rendere più opaco quel semplice gioco di corrispondenze: l'uso di disposizioni seriali trasposte e frammentate, la ciclicità irregolare dei tempi metronomici ( = 36, = 46, = 36) e dell'alternanza di battute in 4 o in 6 quarti, e una distribuzione timbrica e delle densità che tende a trasformare l'iniziale piano di simmetria in una struttura evolutiva e drammatica. Anche in questo episodio, in modo analogo a quanto accade nell'ultimo, a partire da batt. 54 si assiste ad una crescente intensificazione dinamica, e ad una consistente e progressiva verticalizzazione degli interventi strumentali, che sfocia in un disegno ritmo-melodico di pianoforte e percussioni (esempio 2). Questo disegno viene ripetuto quattro volte a breve distanza (batt. 63, 64, 66, 70), ed è come se tutto il movimento di materia sonora ascoltato fino a quel momento avesse come suo scopo l'andarsi a coagulare in quella figura, che sembra affiorare dal tessuto sonoro come il motivo di quarte nella Kammersymphonie di Schoenberg.


A livello macroformale vi è un altro processo di ripetizione particolarmente vistoso. Si tratta della riapparizione di aggregati intervallari verticali le cui durate si prolungano per più battute, durante le quali si verificano trasformazioni di timbro mediante interruzioni di voci e attivazione di altre all'interno di un continuum sonoro. Tali sonorità di fascia attivano processi di ripetizione a due livelli: in primo luogo, esse possono essere intese come ripetizione in negativo, ovvero come variazione al grado zero dei parametri di altezza e di ritmo, e differenziazione controllata del parametro timbro; in secondo luogo, configurandosi come testure con caratteristiche costanti, esse svolgono una funzione formale di transizione tra un episodio e l'altro: nel Largo vagamente, da batt. 54, proprio lì dove si stabilizza il crescendo che porterà all'affioramento della figura di pianoforte e timpani, un insieme verticale di suoni viene tenuto da clarinetto piccolo in Mi bemolle, clarinetto in Si bemolle, clarinetto basso, sax soprano, primo corno e trombone fino a batt. 57, dove il complesso timbrico si modifica con aggiunte e interruzioni di linee fino a batt. 60; a batt. 61 il blocco accordale si sposta agli archi fino a batt. 69, in suoni flautati e per questo in una tessitura complessivamente alta e raggelata per assenza di aloni. Su questa sonorità continua si incidono brevi disegni di strumenti singoli (in successione ottavino, oboe, sax, fagotto e viola); tra la seconda e la terza sezione - Andante moderato e Allegro violento - il processo è ancora più graduale e prolungato: inizia una singola linea a batt. 130 (viola seconda), si aggiunge il terzo violino a batt. 135, quarto violoncello a 137 e da 140 un insieme d'archi fino a 152, appena prima del terzo episodio; a battuta 218, all'inizio del Lento, si ascoltano ancora violoncelli e contrabbassi in lunghi suoni tenuti in armonico fino a 234, e viole e violoncelli nelle battute che chiudono la composizione, da 278-283. Il carattere di queste sonorità di fascia può tendere ad un effetto di staticità o ad un accrescimento graduale di intensità, e con questa funzione verranno poi utilizzate anche nei lavori di destinazione teatrale.


Strategie seriali


La dialettica di variazione e ripetizione penetra fin dentro i processi di determinazione dei materiali. La serie dell'Ode to Napoleon Buonaparte ha forma speculare, con due esacordi simmetrici costruiti su un'alternanza di seconde minori e terze maggiori, dei quali il secondo è l'inversione del primo, e con un intervallo di seconda maggiore nel fuoco di simmetria.


Nel foglio di schizzi riprodotto all'esempio 3, ALN, 01.01/31 v a, la serie originale dell'op. 41 si trova ripetuta più volte nelle due colonne esterne, intercalata a sue inversioni trasposte a distanze intervallari espresse con le cifrature che Nono di solito usava per classificare gli intervalli (2- per seconda minore, 2+ per seconda maggiore, 3- per terza minore, 3+ per terza maggiore, 4+ per tritono ecc.). La sua forma rovesciata (inversione), che Nono segna qui con la cifra RO (che qui dunque non sta per retrogrado dell'originale), si trova al centro dei due blocchi di serie, sopra i quali è scritto «Spiegelbild». Quella disposizione grafica appare come il riflesso di una concezione simmetrica che dall'assetto della serie punta a presiedere, almeno in fase progettuale, tutte le dimensioni dell'opera. Caratteristica forse ancor più determinante per Nono è la natura modulare di questa serie, la sua costruzione regolare risultante da elementi minimi ripetibili. Il fatto che Nono fosse concentrato su questo aspetto potrebbe spiegare la presenza in alto sul foglio delle altre due serie annotate, una a prevalenza di intervalli di quarta e terza maggiore, l'altra a prevalenza di quinta e seconda maggiore; e potrebbe spiegare anche la presenza dei frammenti diatonici di canto piano annotati sempre nel medesimo foglio di schizzi (esempi 3 e 4). In particolare, il segmento centrale, in cui si riconosce facilmente il motivo del Dies irae (che peraltro si potrebbe collegare all'uso che ne fa Dallapiccola in chiave di protest music nei Canti di prigionia), è costruito su intervalli di seconda e terza minore e maggiore, e virtualmente replicabile senza soluzione di continuità per giustapposizione di moduli. In altre parole, ciò che Nono stava presumibilmente cercando, e ciò che trova nella serie dell'op. 41 di Schoenberg, è una possibilità di generazione di organismi sonori mediante ripetizione delle unità minime su cui la serie è costruita, indipendentemente dall'assetto che quelle unità hanno al suo interno. Senso analogo ha anche la rilevazione di Nono delle occorrenze invarianti tra le forme seriali, sia di intervalli sia di singole altezze (che nel foglio di schizzi sono identificate con il numero «1»). Questa focalizzazione selettiva porterà Nono ad abbandonare di fatto già qui la serie come entità motivico tematica, e a concentrarsi invece sulle singole cellule intervallari. E d'altra parte questa scelta è dettata dalla natura stessa del materiale. La serie presenta un elevato tasso di invarianza per il fatto che la seconda metà (suoni 7-12) corrisponde alla sua forma rovesciata trasposta alla quinta, e alla sua forma diritta trasposta alla seconda maggiore, il che restringe di molto le possibilità di ottenere combinazioni differenti mediante permutazione. La particolare conformazione della serie fa sì che non solo si creino, tra le ventiquattro trasposizioni, continue ripetizioni di emiserie, ma anche situazioni in cui risultano permutate le singole diadi di seconda minore. Come si vede nell'esempio 5, l'inversione della serie trasposta alla quinta produce identità incrociate tra le emiserie. Nella trasposizione alla seconda maggiore si ottiene una versione retrogradata dell'esacordo y e una configurazione in cui le tre diadi di seconda minore si trovano sulle stesse classi d'altezza, ma disposte in diverso ordine. Situazione analoga si ritrova nell'inversione trasposta alla quarta.


Sempre nel foglio di schizzi, tra i due blocchi di serie si trova annotata una sequenza di durate nella sua forma diritta e nel suo retrogrado (esempi 3 e 6), ordinata in sei valori decrescenti. I valori, distinti e delimitati da un accento, sono ottenuti per sottrazione progressiva di un'unità di sedicesimo da 8 a 4 (membri da 1 a 5), più un ulteriore modulo ritmico che comprende insieme i tre valori più piccoli (3+2+1). Questa serie di durate agisce in più applicazioni. Viene sfruttata innanzitutto come regolatore di processi di compressione e dilatazione di linee. La sua azione, combinata alle caratteristiche già descritte della serie d'altezze, darà luogo a segmenti lineari di ampiezza irregolare, e a complessi sonori a densità variabile, dove una regolarità intervallare garantisce un certo grado di compattezza, anche in assenza di relazioni motiviche palesi. Le prime cinque battute del Lento vagamente (esempio 7, ALN, 01.08.02/02 R dx sup, 01.08.02/02 R dx inf), presentano linee composte da 1 a 6 suoni, ciascuno di differente durata: considerato l'ottavo come unità base, dalle enunciazioni di ciascuno strumento (elencate per ordine d'attacco) si otterranno le seguenti corrispondenze:


Strumento suoni intervalli Durata complessiva
Clarinetto basso La Sol La Re bemolle 2+ 2+ 3+ 27
Viola Fa La Si Do diesis Re Mi 3+ 2+ 2+ 2- 2+ 21
Contrabasso Sol
9
Clarinetto in Mi bemolle Sol bemolle Mi bemolle Fa 3- 2+ 10
Violoncello Re Do diesis Si 2- 2+ 14
Clarinetto in Si bemolle Mi
12
Violino Si Re Do Do Re 3- 2+ 4 2+ 13
Flauto Fa Mi Do diesis Do naturale 2- 3- 2- 11


Gran parte di questi valori possono essere ordinati secondo una progressione crescente ad incremento graduale di una unità (9, 10, 11, 12, 13, 14). A batt. 9, flauto, clarinetti in Mi bemolle e in Si bemolle presentano linee di lunghezza crescente. Fatta base l'ottavo come unità di misura si leggeranno, dall'alto verso il basso, i valori 6, 7, 8. Un primo effetto del principio che sottende alla serie di durate, è dunque la pronunciata asimmetria delle linee, come una proiezione del principio di non ripetizione sull'ampiezza di ogni singola voce, che orienta subito l'ascolto alla percezione di una sovrapposizione di strati. L'applicazione della serie di durate genera però anche risultanze di segno diverso.


Nella parte inferiore del foglio di schizzi (esempio 8, ALN, 01.01/31 v b), Nono sperimenta le possibilità di articolazione dei sei valori di durata mediante suddivisioni (esempio 8a) e all'interno di una struttura canonica a tre parti (esempio 8b). La ricorrenza di una cellula di sedicesimi e trentaduesimi verrà estrapolata per divenire il nucleo dal quale si sviluppa il quarto episodio delle Variazioni canoniche (cfr. esempio 1). Il modello del canone ritmico a tre parti verrà invece adottato nel terzo episodio (Allegro violento), e già qui se ne rende visibile il funzionamento: diversamente da una idea canonica basata su un sistema metrico accentuativo, dove i punti di entrata delle voci tendono ad un coordinamento dei caratteri accentuativi con il sistema metrico di riferimento, qui i punti d'entrata sono determinati da un procedimento puramente aritmetico: ogni voce entra dopo una pausa del valore aumentato di una unità rispetto all'entrata precedente, sicché la scansione metrica si riduce a puro decorso quantitativo di scorrimento del tempo, e il canone che ne deriva consiste in una sovrapposizione di linee e di strati che generano, pur se all'interno di una struttura controllata, accostamenti e densità di articolazioni ritmiche sempre diverse.


Nell'Allegro violento la serie di durate assume una più complessa funzione d'ordine strutturale, poiché come modulo ritmico globale costituisce la misura delle principali segmentazioni della forma dell'intera sezione, ma soprattutto perché il suo ordinamento seriale diviene l'indice di permutazione della serie d'altezze.57 L'intera struttura è riassunta da Nono in una tabella numerica qui riprodotta nell'esempio 9. La tabella è organizzata in due quadrati numerici interconnessi: da una parte vi sono i sei elementi della serie di durate, dall'altra, la serie di suoni espressi in numeri corrispondenti all'ordine delle classi d'altezza, partendo dalla equivalenza - abituale in Nono - di 1= La. La prima sequenza (base) corrisponde alla serie originale, la seconda (base1) alla sua inversione. Anche le derivazioni dell'inversione sono sempre contrassegnate dall'esponente in apice 1. A ciascuna diade delle due serie 'base' viene assegnato un numero della serie di durate, in modo che ad ogni permutazione degli elementi della serie ritmica corrisponda una permutazione delle serie d'altezze. Si generano in questo modo serie indipendenti, ma che hanno in comune il fatto di essere costituite da sei intervalli di seconda minore. Entrambe le serie, d'altezza e di durata, vengono così sottoposte ad una permutazione sistematica degli elementi interni che genera continue variazioni pur mantenendo stabili le componenti fondamentali: nella serie di altezze le coppie cromatiche, nella serie di durate i singoli valori.


Ciascuna permutazione coordinata di suoni e durate occupa una sezione dell'Allegro, e in ogni sezione l'intera serie ritmica costituisce la linea principale di un canone a tre parti. Siccome la serie d'altezze viene distribuita verticalmente tra le voci, è il ritmo ad assumere il carico della relazione imitativa. Ogni ingresso dei gruppi strumentali avviene a distanza di un valore incrementato in misura proporzionale. Un elemento di regolarità è fornito dalla simmetria interna al quadrato delle durate sicché l'ordine seguito da B a C1 (esempio 10) viene poi ripercorso in senso inverso (C serie retrogradata di C1, D di D1, E1 di E, B1 di B, si confrontino le sequenze numeriche nel primo quadrato della tabella all'esempio 9). La prima sezione, contrassegnata con A (esempio 11, batt. 153-159, ALN, 01.08.02/08 R dx sup, 01.08.02/08 R dx inf, 01.08.02/08 V sx sup, 01.08.02/08 V sx inf), esprime il modello in forma compiuta; le successive ne costituiscono, appunto, 'variazioni canoniche'. Ciascun singolo sistema sviluppa continue modificazioni interne che non sono determinate soltanto dal mutamento degli elementi predisposti, ma anche dalla redistribuzione delle linee strumentali e dal riassestamento dei piani dinamici, spesso dovuto a necessità di equilibrio fonico. In A le durate sono distribuite linearmente su gruppi strumentali definiti: il primo valore (8) e l'ultimo (il modulo ritmico di 3+2+1 ottavi) sono affidati alle percussioni; i valori di 7, 6 5, 4 ottavi sono enunciati in successione lineare da tre gruppi strumentali: corno primo e secondo, tromba e trombone, corno inglese e fagotto. In B (esempio 11, batt. 159-165, ALN, 01.08.02/08 R dx sup, 01.08.02/08 R dx inf, 01.08.02/08 V sx sup, 01.08.02/08 V sx inf), i tre gruppi sono inizialmente costituiti da arpa e trombone, timpani e contrabbassi, corno primo e violoncelli. Le parti rapidamente si modificano: alcune sono frammentate da pause; i timpani tacciono quasi subito e i contrabbassi procedono da soli; la tromba subentra al trombone (batt. 161) e l'arpa viene proseguita dai violini (batt. 163); i passaggi da uno strumento all'altro si realizzano per raddoppio iniziale e successiva interruzione della linea iniziale; l'unica parte che mantiene una continuità lineare è quella dei contrabbassi, ed è significativo che nel punto di maggior rarefazione del tessuto sonoro (batt. 164), la dinamica dei contrabbassi si modifica da fff a mf, prima di riavviare un nuovo crescendo. Nella sezione ancora successiva, una analoga redistribuzione delle parti del canone produrrà, alle batt. 169-170, una concentrazione di due parti in una, con improvvisa duplicazione di figure all'interno di una stessa linea ma in un crescendo dinamico articolato in p, mf, ff. Al centro dell'episodio (sezione C, battute 192-194), che è anche il punto di massima densità, le sei linee strumentali si sovrappongono, e la serie ritmica si scinde in tre linee che procedono omoritmicamente a due a due (esempio 12).


Come si vede, la complessa rete di relazioni prodotta dal principio strutturale produce un'intricata dialettica di variazione e ripetizione a più livelli: l'Allegro violento è costruito su nove sezioni regolate ciascuna da un modulo ritmico costante, a sua volta composto di sei valori di durata che si trovano ripetuti in ogni sezione, articolati in una struttura canonica resa molto mobile dai continui mutamenti della distribuzione timbrica e dalla perdita di stabili riferimenti connessi alla percezione di relazioni d'altezza. Il risultato acustico potrebbe essere descritto come un canone di fasce di cui si percepisce insieme la costanza di un movimento a onda e il continuo mutamento delle sue componenti interne, ovvero della sua grana, del suo spessore, della sua forza d'urto: stabile l'idea sonora, incessantemente mutate, quasi inafferrabili, le sue manifestazioni individuali. E a sua volta, l'Allegro violento riflette l'idea dell'intera composizione come messa in opera del principio del canone attraverso la molteplicità delle sue possibili manifestazioni concrete.


Conclusio cancrizans


Naturalmente questa dialettica di variazione e ripetizione può mutare continuamente gli equilibri tra i parametri, e ogni composizione richiederà un'analisi della ricollocazione delle strategie di ripetizione come funzioni di integrazione e delle strategie di variazione come funzioni di differenziazione. Variazioni canoniche racchiudeva un nodo di istanze sviluppate in momenti diversi: la portata e il significato della serializzazione del ritmo si manifesterà con evidenza verso la metà degli anni Cinquanta, quando Nono passerà dal trattamento seriale di ritmi preesistenti alla elaborazione strutturale delle durate a diversi livelli di organizzazione temporale;58 l'uso delle pause come agente attivo della composizione, tese a frammentare e isolare gesti musicali talvolta brevi, e carichi di tensione, acuisce l'attitudine all'ascolto anche di eventi sonori posti al limite del silenzio, come accadrà in Fragmente-Stille, An Diotima, o in Das Atmende Klarsein; e lo stesso congedo della serie come unità motivico-tematica, già decisamente attuata in Variazioni canoniche apriva la strada verso la composizione del suono come entità complessa, la cui evoluzione è data da aggiunta o sottrazione di elementi. Ma, in termini generali, se in Variazioni canoniche e nelle opere successive fino a tutta la fase seriale, prioritaria appariva la neutralizzazione della funzione conduttrice dell'organizzazione per altezze, e una maggior responsabilità per la determinazione della forma veniva delegata ad altre componenti, e primariamente alla struttura ritmica e delle durate, man mano che l'attenzione si sposta sulle trasformazioni interne al suono, la percezione delle altezze tornerà a giocare una funzione attiva. Perché si possa far compiere ad un suono un movimento circolare o diagonale, mutando così la sua percepibilità spazio-temporale, la stabilità, per così dire, frequenziale di quel suono tornerà ad acquistare importanza come funzione della sua identità. Perché un modulatore ad anello possa costruire una testura canonica, ripetendo uno stesso suono più volte e in ritardo rispetto all'emissione iniziale, sarà la percezione dell'altezza di partenza a rimanere essenziale per il riconoscimento della unità basilare di quella struttura formale.


La fissità delle altezze è una caratteristica rilevante nella musica dell'ultimo Nono, e a favore di quella fissità può giocare un ruolo decisivo anche la lentezza dello scorrimento temporale. Come in Variazioni canoniche, anche in Fragmente-Stille, an Diotima vi sono tempi metronomici assai lenti. In Fragmente, al di là della affinità del segno grafico, del ductus della stesura manoscritta,59 che pare anche visivamente annullare la distanza cronologica tra i due lavori, l'improvviso coagularsi dei quattro archi in emissioni unissone (ad esempio, a p. 3, La4-Mi bemolle5, con punto coronato sull'ultima nota, il tutto, appunto, ad un tempo in = 36), rimanda ai ripetuti effetti analoghi nel secondo episodio delle Variazioni canoniche. Così come sonorità a fascia continua pervadono 2°) «No hay caminos, hay que caminar»… Andrej Tarkowskij, dove si ascolta «un suono 'quasi unico', una sorta di oggetto comune che indaga, oserei dire 'guarda' la materia fisica degli strumenti, che scava e modella nel tempo le impressioni spaziali che sorgono dalle risonanze».60 E ancora, in «Hay que caminar» sognando per due violini, ultima opera compiuta di Nono, la ricerca tutta orientata sulla idiomaticità dello strumento, con una analisi costante sulle modalità d'emissione - al ponticello, al tasto, tremolo in punta ecc. - è poggiata sulla prolungata permanenza di sonorità tenute, inframezzate a momenti di più complessa attitudine costruttiva, che compensano la staticità dei suoni fermi.


È il continuo bilanciamento delle componenti, il controllo delle soglie di percepibilità e la percezione istintiva sempre viva in Nono di una sorta di 'orizzonte d'ascolto' che forse Mila e d'Amico avevano captato, e che li portava a considerare la sua musica non come una monade chiusa in se stessa, bensì come musica che assumeva in sé la problematica della sua percepibilità come forma articolata. E ciò che essi in un certo senso fiutavano nella musica di Nono, e che per insufficienza terminologica o analitica definivano genericamente come «continuità discorsiva», o «linguaggio» o «capacità espressiva», in qualche modo alludeva a categorie che erano già a portata di mano nelle riflessioni sulla musica seriale di Ruwet.61 Ruwet aveva sostenuto che un linguaggio, o un sistema di comunicazione, deve fondarsi su due principi fondamentali: un sistema fonologico costituito da un numero assai limitato di elementi discreti, e relazioni tra le proprie componenti interne tali che il sistema si configuri come un sistema di sistemi che stanno tra loro in una relazione non semplicemente fondata sul parallelismo (per cui quel che accade in un sistema deve trovarsi necessariamente rispecchiato negli altri), ma su principi differenziati; ciascun singolo sottosistema, e ciascun elemento all'interno di questo, non ha valore in sé ma lo acquista nella misura in cui si oppone ad altri elementi. Allo stesso modo, Nono opera in modo fortemente selettivo riducendo gli elementi da sottoporre a processi combinatori, sia nella serie d'altezze, sia nella serie di durate, che, ad esempio, in Variazioni canoniche esclude quasi del tutto l'uso di gruppi irregolari (fa eccezione il motivo che affiora alla fine del primo episodio, dove il pianoforte suona due terzine, il che contribuisce a rendere più rilevato dal suo contesto quel frammento motivico). Per di più Nono non osserva un medesimo principio ad ogni livello, ma articola differenti gradi di libertà e determinazione, e compensazioni tra le dimensioni dell'opera.


Significativamente, Ruwet non obietta alla teoria seriale la sua complessità, bensì il contrario, proprio la soluzione semplicistica di estendere il principio di non ripetizione a tutte le dimensioni della composizione. Per estensione, cioè attribuendo deduttivamente questa posizione anche a Nono, si può provare a concludere questa indagine tornando alla radice della sua etica artistica, del suo impegno, del porsi nel suo lavoro di compositore «come musicista-uomo»: in Nono è sempre viva la pulsione a smontare l'apparenza di una facile razionalità per affrontare la effettiva complessità intrinseca all'atto compositivo. Nella sua musica e nelle sue riflessioni sulla musica, Nono esercita una costante azione di 'sovversione' delle soluzioni scontate, come può risultare l'estensione di un medesimo principio a tutte le dimensioni dell'opera, o anche l'assunzione di una costitutiva distanza dei dispositivi tecnici dal 'mondo della vita', sebbene quella distanza fosse fondata sulla rassicurante convinzione che essi già in sé portino in forma oggettivata un rapporto con il mondo. Quel rapporto, per Nono, era necessario tentare di rifondarlo ogni volta, opera dopo opera.


Non è inutile a questo proposito, allacciare un'ultima connessione, come viatico per ricerche future. Nel saggio su Intolleranza 1960, tra gli autori citati come sue fonti d'ispirazione a vario titolo, Nono richiama di sfuggita Italo Calvino. Sappiamo che per qualche tempo si diede la possibilità di una collaborazione di Calvino a progetti teatrali e anche alla elaborazione di Intolleranza 1960.62 Poi la cosa andò a monte. Oltre alla scarsa sensibilità musicale dichiarata esplicitamente dallo scrittore, ciò dovette dipendere anche da una certa distanza di Calvino dal mondo di Nono. Eppure alcune istanze che Calvino aveva enunciato in scritti di carattere teorico in quello stesso torno d'anni, possono aiutare a definire come nella cultura italiana che partiva da premesse 'resistenziali', andasse definendosi il rapporto tra arte e società. È il caso del saggio uscito nel 1955 sempre sulla rivista «Paragone», Il midollo di leone, e poi venuto a far parte di quella bellissima raccolta di saggi Una pietra sopra, nella quale Calvino traccia un bilancio dei risultati e delle direzioni intraprese dalla letteratura contemporanea fino a quel momento, e lancia alcune linee programmatiche per il futuro. Calvino invoca un coinvolgimento concreto dell'artista nella realtà storica che sta vivendo, rifiutando le poetiche del disincanto e del distacco:


Noi crediamo che l'impegno politico, il parteggiare, il compromettersi sia, ancor più che dovere, necessità naturale dello scrittore d'oggi, e prima ancora che dello scrittore, dell'uomo moderno. Non è la nostra un'epoca che si possa congedare stando au dessus de la mêlée, ma al contrario lo si comprende quanto più la si vive, quanto più avanti ci si situa sulla linea del fuoco.


Però quell'impegno doveva necessariamente sostanziarsi in un «midollo di leone», il «nutrimento» essenziale che Calvino ricavava dalla lezione di Giame Pintor e innalzava a emblema della ricerca letteraria contemporanea:


In ogni poesia vera esiste un midollo di leone, un nutrimento per una morale rigorosa, per una padronanza della storia. Il rigore di linguaggio, il rifiuto di ogni compiacenza romantica, il senso della realtà scontata e difficile, la non adesione alle apparenze più vistose, l'avara presenza del vero e del bene, questo è il midollo di leone che Pintor, traduttore di Rilke, lettore di Montale, morse dalla civiltà letteraria che l'aveva preceduto, questa è la lezione di uno stile che trasferì nell'azione, nell'intelligenza storica.63


In questo senso, tutta la vicenda umana e artistica di Nono, quella degli anni eroici dell' 'impegno', e quelli della svolta inaugurata da Fragmente-Stille, potrebbero riassumersi semplicemente in questo: la ricerca costante, inesausta, incerta, di «un midollo di leone».



N O T E

1 Il 27 agosto 1950, ai Ferienkurse, direttore Hermann Scherchen.

2 Antoine Golèa, En 1950, à Darmstadt, un italien de Venice…, in Vingt ans de musique contemporaine, I: De Messiaen à Boulez, Paris, 1962. Cit. in Gianmario Borio, Nono a Darmstadt. Le opere strumentali degli anni Cinquanta, in Nono, a cura di Enzo Restagno, Torino, EDT, 1987, p. 82.

3 Si veda ad esempio Situazione di un musicista contemporaneo. Intervista di Carlo Piccardi (1968), in Luigi Nono, Scritti e colloqui, a cura di Angela Ida De Benedictis e Veniero Rizzardi, Milano-Lucca, Ricordi-LIM, 2001, II, pp. 11-22.

4 Luigi Nono, Alcune precisazioni su 'Intolleranza 1960', «La Rassegna Musicale», xxxii (1962), pp. 277-289. Ora in Luigi Nono, Scritti e colloqui, cit., I, pp. 100-117: 102. In forma quasi identica questa affermazione ricompare già in uno scritto per Diario polacco '58, cfr. Luigi Nono, Composizione per orchestra n. 2 - Diario polacco '58, in Scritti e colloqui, cit., I, pp. 433-436: 433.

5 Matteo Nanni, Luigi Nono: fra impegno politico e prassi estetica. Osservazioni sulla determinabilità del contenuto musicale, in Luigi Nono: le opere degli anni '60 e '70, atti dell'incontro internazionale di studi, Fondazione Giorgio Cini, 15-17 novembre 2001, pubblicazione on-line sul sito dell'Archivio Luigi Nono (http://www.pro-vincia.venezia.it/alnono/convegno_2001).

6 Lo stesso compositore ha raccontato la circostanza nella sua dedica a Steinecke nell'edizione della partitura (Ricordi 133874): «Dopo la 1a esecuzione assoluta la partitura sparì. Dopo anni ritrovai tutto il materiale d'orchestra dal quale ho trascritto questa partitura com'era con minime aggiunte tra parentesi quadre e precisazioni di tempi. Oggi dedico questa mia prima partitura a Wolfgang Steinecke intelligenza appassionata di nuovi pensari musicali con memore affetto con nostalgia infinita». L'ultima pagina della partitura reca in calce la data gennaio 1985.

7 La partitura autografa di Polifonica-monodia-ritmica con i tagli apportati da Scherchen è custodita presso l'Archivio Luigi Nono. Per uno schema della sua articolazione originaria cfr. La nuova ricerca sull'opera di Luigi Nono, Firenze, Olschki, 1999 («Archivio Luigi Nono. Studi», I), p. 189.

8 Cfr. Luigi Nono, Luigi Dallapiccola e i 'Sex Carmina Alcaei', in Scritti e colloqui, cit., I, pp. 3-5; si tratta di un breve scritto risalente probabilmente al 1948. Si veda anche Gianmario Borio, L'influenza di Dallapiccola sui compositori italiani del secondo dopoguerra, in Dallapiccola. Letture e prospettive, a cura di Mila De Santis, Milano-Lucca, Ricordi-lim, 1997, pp. 357-387, particolarmente le pp. 361-366.


9 Cfr. Luigi Nono, Luigi Dallapiccola e i 'Sex Carmina Alcaei'; poi, Un'autobiografia dell'autore raccontata da Enzo Restagno, ivi, II: p. 544. Anche Giovanni Morelli, Una prova di ritratto di Luigi Nono, in Scenari della lontananza. La musica del Novecento fuori di sé, Venezia, Marsilio, 2003, pp. 95-138: 100-101; e Gianmario Borio, L'influenza di Dallapiccola, cit., p. 360-361.

10 Vi compare già una serie ritmica e dunque l'esigenza del trattamento del ritmo come parametro indipendente. Come ha osservato Gianmario Borio, questo aspetto ha un notevole interesse soprattutto per il fatto che è assai improbabile che Nono potesse aver conosciuto e assimilato le opere in cui Boulez stava attuando una analoga emancipazione del ritmo dall'articolazione per altezze (la Sonatina per flauto e pianoforte e la Seconda sonata per pianoforte), né poteva conoscere il contenuto di Proposizioni, saggio in cui quel principio trovava una sua prima formulazione teorica, ma, a quel tempo, non ancora dato alle stampe. Cfr. Gianmario Borio, L'influenza di Dallapiccola, cit., p. 369.


11 Sulla ricezione di Webern all'inizio degli anni Cinquanta cfr. Gianmario Borio, L'immagine 'seriale' di Webern in L'esperienza musicale. Teoria e storia della ricezione, a cura di Gianmario Borio e Michela Garda, Torino, EDT, 1989, pp. 185-203; e Id., Analisi come processo di appropriazione storica: Webern e il circolo di Darmstadt, in Anton Webern. Un punto, un cosmo, Lucca, LIM, 1998, pp. 47-91, particolarmente le pp. 69-78. Quel che emerge da questi resoconti, è che ben presto la ricezione weberniana di Nono tese a mettere in evidenza aspetti che sono divenuti centrali negli studi più recenti. Cfr., ad, Webern Studies, edited by Kathryn Bailey, Cambridge University Press, 1996.

12 Massimo Mila, La linea Nono (a proposito de 'Il canto sospeso'), «La Rassegna Musicale», xxx, (1960), n. 4, pp. 297-311.

13 Mario Bortolotto, La missione teatrale di Luigi Nono, «Paragone», n. 146 (1962), pp. 25-37; Luigi Pestalozza, Che cosa non tollerano in 'Intolleranza 1960', «Rinascita», 12 maggio 1962; Fedele d'Amico, La polemica su Luigi Nono, «Paragone», n. 156 (1962), pp. 13-26.

14 Polifonica-monodia-ritmica e Il canto sospeso furono eseguite al Festival di musica contemporanea a Venezia, rispettivamente il 1952 e il 1960. Intolleranza 1960 fu rappresentata in prima assoluta sempre al Festival veneziano e sempre nel 1960.

15 Cfr. Antonio Trudu, Luigi Nono e la critica musicale italiana: un rapporto difficile, in Luigi Nono: le opere degli anno '60 e '70, cit. (http://www.provincia.venezia.it/alnono/convegno_2001).

16 Oltre a La linea Nono, devono essere ricordati altri due interventi: Dove vai Gigi?, in Nono, a cura di Enzo Restagno, cit., pp. 281-282; e Nono, la svolta, «Musica/Realtà», 34 (aprile 1991), pp. 119-127. Tra le recensioni, si segnala quella per la prima rappresentazione di Al gran sole carico d'amore: Massimo Mila, L'opera di Nono, un trionfo, «La stampa», 5 aprile 1975.

17 Nicholas Ruwet, Contradictions du langage sériel, «Revue belge de Musicologie», xiii, 1959, pp. 83-97. Poi in italiano, Contraddizioni del linguaggio seriale, in Id., Linguaggio, musica, poesia, Torino, Einaudi, 1983, pp. 5-24: 6 (ed. or.: Langage, musique, poésie, Paris, Éditions du Seuil, 1972).

18 Cfr. Nicholas Ruwet, Linguaggio, musica, poesia, cit., p. VIII. Di fatto Ruwet svolge in una prospettiva linguistica quel che nella 'linea Nono' si manifestava nei termini tradizionali dell'estetica idealista come 'espressione'.

19 Heinz-Klaus Metzger, Ecksteine neuer Musik, «Magnum», n. 30, Köln, giugno 1960, pp. 41 e seg.

20 Massimo Mila, La linea Nono cit., p. 298.

21 Ibidem.

22 Pierre Boulez, Alea, «Incontri musicali», n. 3 (agosto 1959), p. 3-15. L'articolo di Boulez, già pubblicato in lingua francese nel 1957, è ora in Id., Note di apprendistato, Torino, Einaudi, 1968, pp. 41-53.

23 Le due espressioni si trovano rispettivamente a p. 302 e 309 del saggio di Mila.

24 Massimo Mila, La linea Nono, cit., p. 309.

25 Luigi Nono, Presenza storica nella musica d'oggi, «La Rassegna Musicale», xxx, 1 (gennaio-marzo 1960), pp. 1-8. Testo, musica, canto, ora in Scritti e colloqui, cit., I, rispettivamente alle pp. 46-56 e 57-83.

26 Cfr. Veniero Rizzardi, Nono e la 'presenza storica' di Schönberg, in Schoenberg & Nono. A birthday offering to Nuria on May, 2002, a cura di Anna Maria Morazzoni, Firenze, L. S. Olschki, 2002, pp. 229-249.

27 Cfr. Un'autobiografia dell'autore raccontata da Enzo Restagno, in Scritti e colloqui, cit., II, pp. 476-568: 483-484.

28 Così riferisce lo stesso Togni a Riccardo Malipiero il 6 febbraio 1949. Cfr. Camillo Togni, Carteggi e scritti di Camillo Togni sul Novecento italiano, Firenze, Olschki, 2001 («Archivio Camillo Togni. Studi», I), p. 32.

29 Luigi Dallapiccola-Massimo Mila, Tempus aedificandi. Carteggio 1933-1975, a cura di Livio Aragona, Roma-Milano, Accademia di Santa Cecilia-Ricordi, 2005.

30 Massimo Mila, L'opera di Nono, un trionfo, cit.: «Nell'opera [Al gran sole] non ci sono personaggi veri e propri nel senso della vecchia opera psicologica. Questa, sì, è certamente morta, almeno per il momento (niente esclude che in mutate condizioni sociologiche, possa un giorno risorgere trasformata). L'opera come forma d'arte, invece, non è morta niente affatto, ma va ineluttabilmente verso il sacrale, verso la socialità, in una parola verso il superindividuale […] tutto concorre a indicare la religiosità, la sacralità di cui sono lastricate oggi le strade dell'opera lirica. Non certo religiosità in senso stretto, ipotesi che Nono respingerebbe con ira, ma semplicemente nel senso di superamento dell'individuale: per il momento, è solo su questo cammino, indicato da Schoenberg e dal Dallapiccola, che la cosidetta opera lirica può continuare ad esistere». Si confronti questo passo con Massimo Mila, L''Ulisse', opera a due dimensioni, in Luigi Dallapiccola: saggi, testimonianze, carteggio, a cura di Fiamma Nicolodi, Milano, Suvini Zerboni, 1975, pp. 31-41.

31 Unico riferimento a Schoenberg è come «epigono romantico», senza che venga citata alcuna composizione. Cfr. Massimo Mila, Cent'anni di musica moderna, Torino, Einaudi, 19812 (prima ed. 1944), p. 50.

32 Luigi Dallapiccola-Massimo Mila, Tempus aedificandi, cit., pp. 61-65.

33 A Roma, Perugia, Genova, Torino, Milano, Venezia, Brescia, Bologna, Firenze, tra gli esecutori: Anne Marie Hegner, Franck Edwin, direttore Franco Caracciolo, Sandro Materassi, primo violino e Pietro Scarpini, pianoforte.

34 Massimo Mila, Schönberg vecchio e nuovo, «Le Tre Venezie», n. 4-6, 1947 (aprile-maggio-giugno), pp. 191-196: 191.

35 Gianmario Borio, L'influenza di Dallapiccola, cit.. Nello stesso volume, mi permetto di segnalare sull'argomento anche il mio Strategie seriali in 'Requiescant'. (A proposito di una analisi di Luigi Nono), pp. 203-232.

36 «Ora, Schoenberg & C. almeno hanno saputo soffrire e hanno saputo sfidare l'incomprensione di tutto il mondo. Di fronte all'arte ciò non vuol dire nulla; eticamente credo ciò voglia dire qualche cosa»; così scriveva Dallapiccola a Mila nel giugno del 1947. Dallapiccola-Mila, Tempus aedificandi, cit., p. 125.

37 Massimo Mila, 'Il prigioniero' di Luigi Dallapiccola, «La Rassegna Musicale», XX (1950), n. 4, pp. 303-311: 305. Per Mila l'Ode a Napoleone era anche testimonianza di una dodecafonia più 'flessibile', prima di tutto in virtù di una serie che consentiva anche aggregazioni tonali (cfr. anche Mila, Schönberg vecchio e nuovo); aspetto che Nono si affrettò a neutralizzare in Variazioni canoniche; e tuttavia nelle considerazioni di Mila non vi era il semplice riferimento al mondo tonale, ma l'idea di una costruzione formale più evidente, rilievo che si ritrova nel citato saggio di Ruwet, secondo il quale il ritorno di Schoenberg a schemi formali classici mostrava la sua confusa percezione della necessità di bilanciare l'uniformità della serie mediante il ricorso ad altri principi. Cfr. Ruwet, Contraddizioni del linguaggio seriale, cit., p. 13, nota.

38 Mario Bortolotto, La missione teatrale di Luigi Nono, cit., pp. 25-26. Per la verità, già Udo Ungher l'aveva rilevato in un saggio analitico su Polifonica-monodia-ritmica e su Il canto sospeso, cfr. Udo Ungher, Luigi Nono, «Die Reihe», IV (1958), ed. ingl. 1960, pp. 5-13. Il testo di Bortolotto confluì, rielaborato, in Id., Fase seconda. Studi sulla Nuova Musica, Torino, Einaudi, 1969, pp. 104 e seg.

39 Mario Bortolotto, La missione teatrale di Luigi Nono, cit., pp. 39-40. Bortolotto si riferisce al famoso saggio di Henri Pousseur, Da Schoenberg a Webern: una mutazione, «Incontri Musicali», 1 (dicembre 1956), pp. 3-39.

40 Mario Bortolotto, La missione teatrale di Luigi Nono, cit., p. 37.

41 Dove quella «speculazione musicale contemporanea» assume esplicitamente i tratti della critica adorniana: «In questa combattiva intransigenza, nel radicalismo del linguaggio, nell''abbandonarsi della musica alla propria immanenza , così come è costretta dalla propria legge evolutiva e dalla perdita del consenso della società', la musica stessa salva proprio quell''umano' che, affermato adialetticamente, non riesce ad altro che a una immediatezza sospetta». Ibidem.


42 Fedele d'Amico, La polemica su Luigi Nono, cit., p. 21.

43 Su Schoenberg già qualche anno prima così Fedele d'Amico aveva scritto a Luciano Berio: «Secondo l'interpretazione ufficiale, Schoenberg avrebbe a un certo punto compiuto un voltafaccia radicale, passando dall'anarchia all''iperrazionalismo' della dodecafonia. Io credo invece all'assoluta coerenza di Schoenberg. L'ideale di S. era profondamente espressionistico: l'anelito verso l'abolizione del linguaggio, verso il rifiuto di qualsiasi materia ricevuta. Se avesse inventato una nuova tecnica, un nuovo linguaggio, avrebbe dunque davvero tradito se stesso, ossia l'ideale storico di cui era portatore. Ma non fece nulla di questo: costruì invece un sistema che teoricamente simboleggiava a meraviglia il suo tenace ideale, perché era assolutamente estraneo a qualsiasi realtà sonora concreta, e cioè ai rapporti reali che corrono fra le note musicali. Assunse come realtà quella che è soltanto una finzione di comodo, il sistema temperato, abolendo teoricamente la distinzione fra gli enarmonici, e ridusse le note a dodici (ridusse, non accrebbe, come si dice stolidamente da tutti: in Bach o in Mozart le note sono più di dodici, superano cioè il cosidetto 'totale cromatico' che è espressione tecnicamente priva di senso), e immaginò la serie come successione di note sfornite di qualsiasi addentellato armonico o di qualsiasi significato tonale e ritmico». Lettera da Roma, del 31 gennaio 1958, in Luciano Berio - Fedele d'Amico, Nemici come prima. Carteggio 1957-1989, a cura di Isabella d'Amico, introduzione di Enzo Restagno, Milano, Archinto, 2002, p. 31. Come si vede, sono qui già anticipati temi che torneranno nel saggio su Nono.

44 Ivi, p. 23.

45 Fedele d'Amico, La polemica su Luigi Nono cit., p. 20.

46 Ivi, p. 23

47 Ivi, p. 24, (corsivo mio).

48 Ivi, p. 25.

49 Ivi, p. 23.


50 Si vedano i saggi di Rizzardi, Borio, Schaller e De Benedictis contenuti in Le musiche degli anni Cinquanta, Firenze, Olschki, 2004 («Archivio Luigi Nono. Studi», II).

51 Luigi Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia, «aut-aut», I, 1, n. 1, gennaio 1951, poi ripubblicato in Id., Parole e musica, a cura di Fiamma Nicolodi, Milano, il Saggiatore, 1980, pp. 448-463, particolarmente alle pp. 454-455: «Credetti così di cominciare a comprendere sino a qual punto, in musica, una identica successione di suoni potesse assumere un diverso significato, a condizione di essere articolata in modo differente […] il lavoro più attento e coscienzioso doveva essere dedicato all'articolazione […] A me appariva evidente che, anche se tutti i dodici suoni si presentano ognuno un numero uguale di volte non si può assolutamente trascurare un fattore di capitale importanza: il momento, cioè il punto della battuta, in cui il suono si fa udire. Ecco dunque il tempo che interviene a rappresentare quasi la quarta dimensione nella musica. Va da sé che il significato di un suono non è lo stesso se il suono cade sul tempo forte o sul tempo debole, pur restando invariate la dinamica e le durate. E si dica altrettanto dei suoni, qualora facciano parte di movimenti rapidi invece che di movimenti lenti […] la polarità (non so se altri abbiano usato prima di me tale definizione o se ne abbiano trovata un'altra), il che significa l'esistenza di rapporti raffinatissimi tra certi suoni; rapporti non sempre facilmente individuabili oggi (perché molto meno evidenti di quello dominante-tonica), ma tuttavia presenti. E l'interesse di questa polarità sta principalmente nel fatto che essa cambia (o può cambiare) da un'opera all'altra. Una serie potrà presentarci la polarità fra il primo e il dodicesimo suono; un'altra fra il secondo e il nono… e così via. E non parlo delle possibilità insite nei singoli tronconi della serie. È qui che il fattore tempo, cui ho fatto cenno or ora, si presenterà in tutta la sua imponente importanza».

52 Luigi Nono, Con Luigi Dallapiccola, in Scritti e colloqui cit., I, pp. 483-484.

53 Giamario Borio, L'influenza di Dallapiccola, cit., p. 370.

54 Per i concetti di integrazione e differenziazione come aspetti correlati dell'articolazione formale cfr. Carl Dahlhaus, Analisi musicale e giudizio estetico, Bologna, il Mulino, 1987, pp. 50-54 e 59-62.


55 Luigi Dallapiccola, Sulla strada della dodecafonia, cit. A proposito della «differenza fondamentale fra la musica classica e la musica seriale», Dallapiccola scrive che tale differenza «riguarda la dialettica. Nella musica seriale, invece di trovarci di fronte a un personaggio ben definito sin dall'inizio, ritmicamente e melodicamente, sarà necessario spesso attendere a lungo […] Prima di arrivare a una definizione ritmica e melodica della serie, potremo trovarla condensata in aggregati sonori, differentissimi fra di loro e per densità e per timbro. È tuttavia verosimile che in alcuni di essi sarà percepibile il senso della polarità, quasi per stabilire un primo contatto tra il compositore e l'ascoltatore» (p. 458-459).

56 Veniero Rizzardi, La nuova scuola veneziana, 1948-1951, in Le musiche degli anni Cinquanta, cit., pp. 1-59, in particolare le pp. 10-14.

57 Questo aspetto è già stato messo in evidenza in Borio, L'influenza di Dallapiccola, cit., pp. 372-374; e in Id., Tempo e ritmo nelle composizioni seriali. 1952-1956, in Le musiche degli anni Cinquanta, cit., p. 68. Borio rileva soprattutto la funzione di «nucleo strutturale» che l'ordinamento numerico della serie di durate viene ad assumere, cioè la funzione di principio regolatore unitario di molteplici dimensioni della composizione. Qui questo aspetto viene ridiscusso in rapporto alla dialettica di variazione e ripetizione.

58 Gianmario Borio, Tempo e ritmo nelle composizioni seriali, cit., p. 68.


59 Come Variazioni canoniche anche Fragmente-Stille è edito come copia in facsimile dell'autografo (Ricordi 133049).

60 Giovanni Morelli, Un incendio visto da lontano. Dedicato a una dedica («2° No hay caminos hay que caminar… A. Tarkowskij», in Id., Scenari della lontananza, cit., pp. 201-215: 214. Ed è illuminante ascoltare Variazioni canoniche e «2° No hay caminos, hay que caminar» quasi addossate l'una all'altra (e forse, per contrasto, intenzionalmente incastonate tra Varianti e Incontri) nel CD «col legno» (WWE 1CD 31822), direttore Mario Venzago e la Sinfonieorchester Basel.

61 Nicholas Ruwet, Contraddizioni del linguaggio seriale, cit.

62 Cfr. Veniero Rizzardi, Verso un nuovo stile rappresentativo, in La nuova ricerca sull'opera di Luigi Nono, cit., p. 47. Cfr. anche Nicola Sani, 'Intolleranza 1960'. Luigi Nono-Angelo Maria Ripellino: il carteggio, «Musica/Realtà», x, n. 39 (1992), pp. 115-129.

63 Italo Calvino, Il midollo di leone, «Paragone» n. 66, giugno 1955, poi nella raccolta di saggi dello scrittore dal titolo Una pietra sopra, Torino, Einaudi, 1980, pp. 3-18: 17.